Ho conosciuto uno scultore pugliese, Massimiliano Di Gioia. Mi ha raccontato la sua impresa.
Per tre anni ha martellato e scalpellato un blocco di marmo, un bianco di Carrara alto più di tre metri.
Ogni giorno ha accumulato ai suoi piedi frantumi tolti dai suoi colpi. Aveva in mente una forma da raggiungere all’interno della materia chiusa.
La sua scultura è una traduzione, passaggio da una lingua alla propria. Il marmo è lingua classica, precisamente greca, dalla quale proviene anche il nome. È roccia detta metamorfica, perché cristallizza. Un uomo ne realizza la metamorfosi in statua di un colosso.
Con un milione di colpi ne estrae la figura di Talos, gigante leggendario dell’isola di Creta.
Gli occhi dello scultore si devono fermare, chiudere un poco, distogliersi dal bianco. Guarda in su, gli alberi, un gatto su un tetto, poi il nero di una tazza di caffè.
Fiato, capelli s’impregnano di polvere di carbonato di calcio. L’opera è operaia.
L’opera è marinaia, finirla è sbarco che fa barcollare.
Darsi un compito di remoto orizzonte, fare il primo passo, la prima scalpellata per sbozzare: in queste mosse c’è la nostra piccola grandezza umana. Fa di una persona un artefice.
Questa pagina è un omaggio a Massimiliano Di Gioia, uomo che sta dando alla sua città, Ruvo di Puglia, un monumento che la farà ricordare.