Esplodono tuoni nel sottosuolo, in cielo invece luci azzurre di notte, a strati di aurore boreali, come a L’Aquila nel 2009.
Scricchiolano, oscillano pareti, le scale in discesa sobbalzano ubriache, intorno chiasso di frantumi e grida: torna il terremoto a scuotere la superficie della specie umana.
Gli animali sono illesi all’aperto, in mari, fiumi, laghi e in volo.
Il terremoto è catastrofe umana, senza differenza dalla guerra. Entrambi gli effetti distruggono la vita di centri abitati, cancellano la loro opera laboriosa.
Chi scampa ritorna all’età della pietra e pietre bisogna afferrare per giungere a chi è bloccato sotto incastri di crolli.
Dentro la catastrofe la specie umana torna alla condizione di formicaio scoperchiato. Ognuno corre, sposta, scava, salva.
Dentro la catastrofe la specie umana trova l’energia della concordia, il suo tempo migliore.
Si assiste da lontano a quanto si è varie volte conosciuto. Anche solo il pensiero di accorrere, dare una mano, un conforto unisce e fa appartenere a un destino di uguali.
Torna per un poco il sentimento di essere ospiti fragili sopra un palmo di mano.