Libera conversazione di Achille Rossi con padre Marcelo Barros sull’elezione di Papa Francesco

Marcelo Barros è un teologo della Liberazione brasiliano molto conosciuto in Italia. Gli chiediamo quale significato può avere per la chiesa latinoamericana l’elezione di Francesco primo. «Nella prospettiva del Concilio Vaticano II e della valorizzazione delle chiese locali, preferirei un papa che fosse pienamente e veramente vescovo di Roma e coordinatore della comunione delle chiese in tutto il mondo, non il padrone o il capo dei cattolici del pianeta». Per questo Barros preferirebbe un vescovo di Roma che fosse italiano e romano e non latinoamericano o africano. «Siccome però sappiamo che la Chiesa cattolica attuale è molto distante da questa prospettiva, l’elezione di un papa latinoamericano può essere un fatto positivo, non perché sia latinoamericano (la maggioranza dei cardinali latinoamericani sono più romani dei romani), ma perché non è un uomo di curia e può aprire quindi una nuova stagione per la Chiesa».

Il nome scelto da Bergoglio e il continuo richiamo ai poveri fanno pensare a un atteggiamento nuovo della Chiesa nei confronti della ricchezza e del potere. «Penso che sia ancora presto per poterlo dire. Nella prospettiva della teologia della Liberazione i poveri non hanno bisogno dell’amore condiscendente dei potenti. Debbono essere loro, gli impoveriti, i soggetti della loro storia, anche se hanno bisogno di alleati e di appoggi in tutti i settori». La conclusione di Barros è categorica: «Se il papa aiuta la Chiesa a mettersi in ascolto dei poveri e a essere testimone del cammino nuovo dei movimenti popolari, sarebbe fantastico». Potremmo aspettarci la realizzazione di quel “patto delle catacombe” siglato da una cinquantina di padri conciliari al termine del Vaticano II? «Un nuovo “patto delle catacombe” farebbe bene alla Chiesa stessa, la stimolerebbe a convertirsi e a essere più credibile. Ma cosa significherebbe un patto simile in un Vaticano che continua a essere uno Stato e con un papa che rappresenta l’ultimo monarca assoluto dell’Occidente?».

Barros ha avuto qualche disavventura per aver scritto una lettera a papa Wojtyla chiamandolo “fratello” e chiedendogli alcune spiegazioni sul suo comportamento. Questa libertà gli ha tirato addosso alcuni provvedimenti disciplinari che gli hanno cambiato la vita. Se dovesse scrivere ora una lettera a Francesco primo che cosa gli chiederebbe? «Non so se questo papa accetterebbe di ricevere una lettera da un semplice monaco e di essere chiamato “fratello”. Comunque lo ringrazierei per i suoi gesti che demitizzano la figura del papa e lo inviterei ad abbandonare l’ipocrisia di usare impropriamente il nome di Dio chiamando santo tutto quello che appartiene a Roma: Santa Sede, Santo Padre, sante congregazioni. Gli suggerirei di praticare nei fatti l’evangelismo di Francesco e di tornare al Vangelo di Gesù»

Ma l’ipotetica lettera di Barros non si chiuderebbe qui: «Gli chiederei, come suggeriva il mio maestro Dom Helder Camara, di rinunciare a essere capo di stato, di abolire le nunziature, di donare il Vaticano all’Onu o all’Unesco e di tornare ad abitare a S. Giovanni in Laterano». È soprattutto la compromissione con la politica che inquieta Barros: «Il papa non dovrebbe dire di avere una missione spirituale e non politica, dal momento che lui stesso è un capo di stato che riceve diplomatici e potenti di tutto il mondo». Il teologo brasiliano fa un esempio concreto: «Nel momento in cui ti sto rispondendo arriva in Vaticano l’attuale presidente del Paraguay, che ha accettato il denaro delle multinazionali agricole per fare un colpo di stato (parlamentare) e cacciare dal governo il presidente Lugo. In questo modo il Paraguay è diventato un paradiso per l’agrobusiness ed è iniziata la repressione dei movimenti popolari. Se il papa lo riceve e legittima un simile stato di cose, come si può dire che non fa politica?». Per Barros sarebbe importante dichiarare che il papa non fa politica e specificare quale spiritualità proclami o segua. E quale spiritualità dovrebbe seguire, a suo parere? «Io lo inviterei ad aderire alla spiritualità boliviana e ad appoggiare il cammino nuovo di paesi come Venezuela, Ecuador e Bolivia».

Quali sono i problemi attuali su cui l’azione del nuovo “vescovo di Roma” dovrebbe concentrarsi all’inizio del nuovo millennio? «Dovrebbe riaprire il dialogo che papa Giovanni XXIII ha aperto con l’umanità e gli ultimi due papi hanno bloccato e impedito di proseguire. Il papa ha tutto il diritto di essere conservatore sul piano morale e di essere critico nei confronti della teologia della Liberazione (abbiamo bisogno di critici intelligenti ed esigenti), ma non dovrebbe essere dogmatico arroccandosi nella sua visione personale e accettare il dialogo». Barros però non si accontenta di un confronto all’interno della Chiesa. «Il dialogo col mondo deve essere preceduto da un ampio confronto con tutti i credenti cristiani, cattolici e di altre chiese. È necessario recuperare il carattere sinodale della Chiesa, che è comunione e perciò molto più di una democrazia liberale». La visione del teologo si spinge ancora più avanti: «Attraverso i sinodi parrocchiali, diocesani, nazionali, arriveremmo a dei sinodi di tutta la Chiesa, che avrebbero non solo carattere consultivo ma deliberativo e potrebbero sboccare in un Concilio panecumenico delle chiese cristiane».

L’altra urgenza individuata dal teologo brasiliano è che la Chiesa, tornata ad essere povera e dei poveri, come ha suggerito papa Francesco, recuperi la sua vocazione profetica: «Dovrebbe essere una voce alternativa al neoliberismo politico, che denunci i nuovi imperialismi, le grandi potenze assassine e si unisca agli impoveriti del mondo per rivendicare pace, giustizia e salvaguardia del creato».

Si dice che il nuovo papa non sia un fautore della teologia della Liberazione alla quale lei appartiene. Eppure il gesto di invocare la benedizione del popolo il giorno della sua elezione ha fatto pensare a una maniera differente di intendere il ruolo di papa e il rapporto col popolo di Dio. Quale idea lei ha del compito del vescovo di Roma? «Tutti i vescovi (in greco vigilanti, custodi) devono desacralizzare la visione del loro ministero, che oggi appare più legata alla sacralità di questa funzione nell’antica religione romana (l’uomo sacro) che nel Nuovo Testamento e nel cristianesimo primitivo. Abbiamo bisogno di una Chiesa più ministeriale e più profetica che sacerdotale».  Naturalmente Barros intende la Chiesa nella sua totalità, «all’interno della quale il vescovo di Roma sarebbe un primus inter pares, un fratello nella comunione dei vescovi per aiutare l’unità delle chiese». A convalida del discorso porta un esempio storico: «Nel III secolo il vescovo di Roma ha aiutato la Chiesa a evitare il puritanesimo della chiesa di Cartagine di Tertulliano e san Cipriano ed è stata la sua posizione più aperta e più universale a salvarci da impostazioni più strette e settarie».

Sembra che il nuovo papa sia molto critico nei confronti dell’ideologia neoliberista che guida l’economia mondiale. Pensa che la sua nomina possa avere un influsso sui processi economici che creano la povertà? «Non sono le parole e le dottrine che cambiano il mondo. Francesco primo potrà anche avere un pensiero critico, ma se continuerà a tenere in piedi la struttura attuale del Vaticano e la sua banca piena di irregolarità etiche ed economiche, non credo che le sue parole critiche avranno un’influenza reale. Se vuole esercitare un influsso profetico deve anzitutto cambiare il luogo da cui parla. Che sia un profeta povero ed evangelico e non un capo di stato coinvolto nella diplomazia di questo mondo».

Lei non sembra molto ottimista per il futuro. «Sono ottimista e pieno di speranza nelle chiese locali, nelle comunità popolari e anche nelle istituzioni ecumeniche. Un settimana fa ho partecipato a un incontro di 500 persone delle comunità di base del Nordest brasiliano. Una regione poverissima afflitta da una terribile siccità e ho constatato come le persone siano legate da una solidarietà incredibile. Questo ci dà fiducia». Barros è appena rientrato dal Venezuela dove ha partecipato ai funerali di Chavez e ha visto «l’amore del popolo povero per il suo leader e l’impegno in un cammino sociale e politico che gli ha restituito dignità». In ottobre il teologo brasiliano parteciperà al Consiglio Ecumenico delle Chiese sul tema: “Dio ci libera e dà vita” e ammonisce: «non dobbiamo vedere il mondo solo attraverso il papato attuale, dimenticando le altre chiese e le altre tradizioni spirituali».

 

Achille Rossi è prete a Città di Castello, direttore di Altrapagina.

Marcelo Barros è un benedettino brasiliano, teologo.

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