Editoriale del numero 104

Tutti noi abbiamo lottato in questi anni, inutilmente, per riportare la finanza, che intanto asserviva a sé la politica, al servizio dell’economia produttiva.

Purtroppo i governi tutti, invece, l’hanno lasciata espandere e dotarsi di un vero arsenale finanziario. Dalle transazioni allo scoperto alle scommesse sul futuro andamento di società e enti; dai titoli che salgono se la borsa cade all’ascolto dato alle società di rating nonostante le loro plateali dimostrazioni di incapacità e faziosità. Deve essere netta e chiara la condanna del neo-liberismo, principale artefice della crisi attuale e ancora fortemente presente nelle idee e nei progetti di grande parte dei politici attuali. Di conseguenza dobbiamo lavorare per contrastare l’attuale economia di esclusione e di disuguaglianza, se si vuole assicurare il benessere economico di tutti i paesi. Economia, come indica la stessa parola, che dovrebbe essere l’arte di raggiungere un’adeguata amministrazione della casa comune,  il mondo intero. Appunto, la globalizzazione della solidarietà e non dell’egoismo, che ha promosso la cultura dello scarto, nella quale gli esclusi non sono solo degli sfruttati, ma veri rifiuti, avanzi, a tal punto da non essere nemmeno contabilizzati. Non prestabiliamo chi incontrare ma rendiamoci prossimo di ogni persona che incontriamo. Non avviciniamo le persone perché sono nel bisogno ma andiamo loro incontro perché,  sono persone. Dobbiamo avere la volontà di metterci in relazione, come ci ricordava al nostro convegno nazionale, Waldemar Boff.

L’ideologia attuale che difende l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria non lascia nessuno spazio a giustificazioni politiche. Sappiamo che viviamo nel tempo del travestimento etico del male, dove dall’etica siamo passati all’estetica. Viviamo il tempo della seduzione di massa, non della partecipazione. Dobbiamo lavorare per riportare la giustizia come misura minima per ogni persona. Diffondere la convinzione che lo stato sociale é la forma più alta di democrazia. Che la democrazia non è una serie di regole, ma uno stile di vita minimo per tutta l’umanità. Tutto ciò ci invita a prendere coscienza che la politica non si può delegare.

A Davos in Svizzera, dove i grandi si riuniscono ogni gennaio, l’Ong Oxfam ha distribuito un documento in cui denunciava che le 87 persone più ricche del mondo, posseggono denaro e ricchezze quanto la metà della popolazione mondiale: tre miliardi e mezzo di persone. Che dire?
Non c’è dubbio, il denaro è diventato un idolo, si è trasformato nel fine ultimo di ogni azione e ha smarrito l’uomo.

Penso ai molti uomini e donne che vivono in strada che incontro spesso nei miei viaggi in Italia e all’estero. Non amano la luce, forse perché i loro corpi non fanno ombra, come fantasmi sono attraversati dagli sguardi senza essere visti. Forse perché hanno vergogna di trascinarsi in mezzo agli altri, pesanti e infagottati di stracci, carichi dei loro preziosi sacchetti con qualche pezzo di cibo e, più facilmente un cartone di vino in Italia, o di cachaça in Brasile, buone a scaldare d’inverno e a intossicare sangue e memoria tutto l’anno. Vite prive di progetti, di cose, oltre che di case; non hanno nulla che li tenga fermi in un posto, che non sia una panchina più riparata o un viadotto.
Vite di strada e di notte. Vite di uomini e, sempre di più di donne; di anziani ma, sempre più spesso anche di giovani. E noi?

Il Direttore

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