Quando la grande tribolazione arriverà, la terra avrà finalmente il suo meritato riposo. Queste riflessioni di Waldemar Boff, che vive con i piccoli produttori rurali nella valle del fiume Surui, nella baixada-pianura alle periferie di Rio de Janeiro e nostro referente del progetto Agua Doce, devono farci riflettere. Lui che gli accompagna nella formazione ecologica e nell’ecologia sociale. Ecco il suo testo.
Nessuno conosce con certezza il giorno e l’ora. Il fatto è che già ci stiamo in mezzo, senza accorgercene. Ma che stia venendo, viene, con intensità e precisione sempre crescenti. Quando avverrà la grande svolta, tutto sembrerà una sorpresa. Quantunque esistano dati sicuri sull’inevitabilità dei cambiamenti globali dovuti al clima, con conseguenze che gli scienziati tentano di indovinare, ma che sicuramente saranno anche peggiori, gli interessi economici delle grandi nazioni e la miopia dei loro leaders quanto a tempi lunghi, non gli permettono di prendere le decisioni necessarie per mitigare gli effetti e adattare il loro modo di vita allo stato febbrile della terra.
Immaginiamo lo scenario plausibile in cui gli uragani spazzeranno intere regioni. Onde gigantesche ingoieranno città e civiltà, andando a smorzarsi ai piedi delle montagne. Secche prolungate faranno sì che si scambieranno tutte le ricchezze per un semplice bicchiere d’acqua sporca. Caldo e freddo estremi faranno ricordare con nostalgia i racconti dei nonni che parlavano del ponentino, del dolce abbraccio di un focolare negli inverni sempre prevedibili e di frutti maturati al calore del sole d’un’estate generosa. Si mangerà per sopravvivere, sempre poco e di sapore sospetto.
Tutto questo non sarà ancora il peggio. La madre, sarà così stanca che non riuscirà a seppellire la figlia e il nipote ammazzerà il nonno per un tozzo di pane. Cani e gatti, amici dell’uomo, saranno oggetto di caccia dappertutto come ultima possibilità di calmare la fame. I vivi invidieranno i morti e non ci sarà chi pianga la morte dei bambini. La fame arriverà a tal punto che, come in Gerusalemme assediata, gli affamati aspetteranno la prossima vittima della morte per disputarne la carne floscia. Il paese sarà devastato e le città diventeranno macerie.
Tutto il tempo che sarà oggetto di devastazione, la Terra si riposerà. Ma sarà la fine di tutta la biosfera? No. A causa dei giusti e dei saggi, Dio abbrevierà questi giorni e non decimerà tutta la vita sulla Terra, mantenendo la promessa che aveva fatto nostro padre Noè. Ma è necessario che l’essere umano passi attraverso questa tribolazione per svegliarsi dal suo egocentrismo e riconoscere definitivamente che lui è una parte della comunità di vita e il principale custode della stessa.
Che cosa dobbiamo fare per prepararci a questi tempi? Innanzitutto, riconoscere che già ci stiamo vivendo in mezzo. Non sappiamo quando verrà la primavera o l’autunno. Ormai non riusciamo a calcolare i mesi di freddo e di caldo. Non sappiamo più quando verrà la pioggia e quando il sole.
In secondo luogo rimaniamo tranquilli e vigilanti, osservando i segnali che indicano l’accelerazione dei processi di cambiamento. E, soprattutto, è imprescindibile convertirsi, cambiare le nostre abitudini di vita, un cambiamento profondo, personale e definitivo. Soltanto allora staremo in condizioni morali di chiedere che gli altri facciano la stessa cosa. Ma come al tempo dei profeti, pochi ascolteranno, alcuni prenderanno in giro e la maggioranza si manterrà indifferente, permettendosi ogni sorta di libertà come al tempo di Noè.
Dovremo tornare alle radici, per ricominciare, come tante altre volte ha fatto l’umanità pentita, riconoscendo che siamo soltanto creature e non Creatori, che siamo compagni di viaggio e non padroni della natura; che per la nostra felicità è indispensabile sottometterci alle grandi leggi della vita e udire con attenzione la voce della nostra coscienza. Se ubbidiremo a queste grandi leggi, coglieremo i frutti della Terra e l’allegria dell’anima. Se disubbidiremo, ripristineremo una civiltà come questa che stiamo vivendo, piena di avidità, guerre e tristezze.
Per questi tempi di carestia che stanno arrivando, è fondamentale recuperare le antiche arti tecniche di piantare, cogliere, mangiare, occuparsi degli animali e servirsi di loro con rispetto; fare utensili con l’arte e tecnologia locali di selezionare le piante le erbe che curano e i grani che nutrono; di raccogliere per tessere, di preservare le fonti d’acqua, di trovare luoghi appropriati per scavare pozzi e imparare a conservar le acque della pioggia. E iscriversi alla Facoltà di economia di sussistenza, di sobrietà condivisa e di bellezza spogliata. Da questo sapere recuperato e arricchito potrebbe sorgere una civiltà del piacere moderato, una biocivilizzazione, una Terra di buone speranze.
Dopo una lunga stagione di lacrime e speranze, supereremo questa stupida guerra di religione, questa intollerabile disputa di Dei. Al di là di profeti di tradizioni, al di là di morali e liturgie, magari torneremo a adorare sotto molteplici nomi e forme, l’unico Creatore di tutte le cose e padre di tutti i viventi, nel grande Spirito che tutto unisce e ispira, abbracciati amorosamente all’unica fraternità universale. E potremo infine organizzare davvero l’unione di tutti i popoli del mondo e un autentico parlamento di tutte le religioni.