Un grande storico francese, Marc Bloch, fucilato dai nazisti nel 1944, ha scritto che il mestiere dello storico deve essere animato da una sola passione, quella di “comprendere” e aggiunge che “comprendere è una parola “gravida di difficoltà, ma soprattutto carica di amicizia”. In pratica, sembra dire Bloch, si comprende soltanto ciò con cui si è in empatia, ciò che si ama. Il “comprendere” specifico dello storico viene costruito a partire da domande che noi, nel presente, poniamo al passato. Un libro di storia risulta quindi essere la risposta alle domande che noi rivolgiamo al passato, domande che sentiamo importanti, urgenti, per avere indicazioni sulle scelte che dobbiamo compiere.
Le domande che sono all’origine di questo libro sono state espresse quando, nel settembre dell’anno scorso al Coordinamento tenuto nel monastero di Sezano, ci siamo interrogati su “quale memoria” era più fertile per la Rete che si accingeva a compiere 50 anni. In quella circostanza è emersa come urgente un’interrogazione sulla solidarietà, su quale evoluzione ha avuto nella Rete l’ideale della solidarietà, nella prospettiva di capire quale solidarietà è necessaria oggi e domani: Solidarietà perché? Solidarietà con quali obiettivi? Solidarietà con chi? Solidarietà come? Quali rischi evitare? Nel cammino di solidarietà della Rete qual è il nucleo originario, utopico, che va salvaguardato? A quali cambiamenti si deve preparare?
Queste domande hanno orientato la mia indagine storica sulle vicende di questi 50 anni di Rete. Indagine che si è sviluppata attraverso le fonti documentarie prodotte fisiologicamente nella Rete: le Circolari mensili nazionali (senza dimenticare del tutto le Circolari locali), i verbali del Coordinamento, gli atti dei Convegni nazionali e dei Seminari, gli articoli della rivista trimestrale della Rete (il “Notiziario”, oggi “In dialogo”), lettere scambiate tra gli aderenti.
Su questo aspetto della documentazione trovo sorprendente che un’associazione come la Rete Radié Resch, che vive da 50 anni senza una sede, senza una struttura istituzionalizzata, senza personale amministrativo, sia riuscita a conservare una tale ricchezza di documentazione. Conosco associazioni culturali, solidaristiche, perfino sindacali, che non si curano di conservare documenti, ossia memoria del loro percorso. È grazie a questa ricchezza di documentazione sedimentata prima nei cassetti o negli armadi poi nei computer di molti di noi che è stato possibile, nelle cadenze dei nostri anniversari, progettare testi che elaborassero la memoria del cammino compiuto: è stato così con la monografia di Carla Grandi (“Radié Resch. Una storia di solidarietà”, 1992), poi con il mio testo “Nel vento della storia. 30 anni della Rete Radié Resch” in occasione del 30°, poi con il volume di lettere scambiate all’interno della Rete con i referenti delle nostre operazioni in occasione del 40°. E ora questo “Rete Radié Resch. Solidarietà per la liberazione 1964-2014”, che è strutturato con un primo capitolo di reinterpretazione sintetica, evocativa, dei primi 30 anni e con un secondo capitolo di ricostruzione analitica degli ultimi 20 anni.
Ripercorrendo storicamente questo cammino ho cercato di mettere in luce avvenimenti fecondi, carichi di significato: la Rete nasce dall’incontro di Paul Gauthier e Ettore Masina, che si snoda tra Roma e Nazareth tra la fine del 1963 e l’inizio del 1964, nel tempo di quel risveglio delle coscienze che è stato il Concilio Ecumenico: un contesto straordinariamente propizio per incontri speciali, per lo scaturire di nuove sorgenti. Paul assume la veste di profeta/“provocatore” (“chiamare davanti/oltre”) e ispiratore: non gli basta l’offerta in denaro di Ettore, pur generosa, gli propone di coinvolgersi con continuità e di coinvolgere altri. Ettore ha accanto Clotilde che gli dissolve ogni dubbio se accettare la sfida e intuisce in questo coinvolgimento una scelta di giustizia che risponde al sentimento profondo di entrambi. Ettore e Clotilde diventano così fondatori della Rete italiana di solidarietà con famiglie di poveri palestinesi che lottano per la propria dignità, che significa innanzitutto abitare una casa, non una grotta.
La storia della Rete racconta che ogni nuovo sviluppo è stato determinato da un incontro, da un ascolto che si fa relazione; non è Ettore che programma l’espandersi della Rete dalla Palestina all’America Latina, da un Paese a un altro: ci sono invece incontri con persone, c’è l’ascolto di grida di aiuto, c’è lo stare nel vento della storia con la volontà di prendere la parte di chi non ha voce, di chi lotta, di chi resiste all’oppressione, allo sfruttamento, all’esclusione.
Ettore e Clotilde iniziano il loro esodo che li porta dal lasciarsi coinvolgere per sentimentalismo al coinvolgersi per giustizia. Il loro esodo prefigura quello di tanti altri amici che parteciperanno in quei primi anni al sorgere di gruppi-reti locali. In quel cammino di esodo vengono deposti semi di una fecondità non prevedibile: uno di questi semi è il discorso di Paul Gauthier, ancora in veste di profeta/provocatore, al primo convegno nazionale della Rete nell’ottobre 1965 (poche settimane prima del “Patto delle catacombe” del gruppo di vescovi della “Chiesa dei poveri”): “Ciò che è importante è che mentre noi là viviamo tra gli operai, voi qui agiate sulle strutture sociali per impedire che si fabbrichino ancora dei poveri. […] Voi non potete dare parte della vostra intelligenza, della vostra preghiera, del vostro denaro per aiutare i poveri se nello stesso tempo non lottate con tutte le vostre forze per sopprimere le strutture che fabbricano i poveri, […] le cause della povertà”.
Questo è il seme che tutto contiene: nel seme è già contenuto l’albero e i suoi frutti. Questo è il nucleo originario, utopico, della Rete, da non dimenticare, da non smarrire lungo i tornanti del cammino: fare solidarietà proponendosi di sconfiggere le cause della povertà, perciò fare solidarietà con i poveri che lottano per la propria liberazione dalla povertà. Ho evidenziato nel testo la novità dei discorsi che circolavano nella Rete, richiamando che il movimento di solidarietà internazionale “Mani Tese”, sorto nello stesso anno della Radié Resch, ancora alla fine degli anni Sessanta vedeva prevalere al suo interno la linea di coloro che consideravano il sottosviluppo del Terzo Mondo come conseguenza più dell’arretratezza delle culture locali che delle politiche del colonialismo.
L’altro prezioso seme regalatoci da Paul nel primo Convegno della Rete è il suo percepire – anche questo veramente profetico se consideriamo che siamo a metà anni Sessanta – che il sistema economico del Nord, il suo disegno politico di dominio egemonico è causa dell’impoverimento del Sud: il “qui” e il “là” sono in correlazione, interdipendenti. La categoria del “qui”-”là” viene assunta a categoria interpretativa della realtà sociale nel percorso della Rete. Allora la liberazione dalla povertà che impegna i poveri del Sud del mondo è in correlazione con la nostra lotta per liberarci dal nostro sistema economico che genera ingiustizia e impoverimento: “Nord e Sud. Un solo futuro” era il titolo-programma della Convenzione tra grandi associazioni di solidarietà che la Rete – su ispirazione e insistenza di Masina – lanciò nel 1990, all’indomani della caduta del muro di Berlino; “Nord e Sud cambiare insieme” ho intitolato il volume di lettere per il 40° della Rete. Cambiare insieme, liberarsi insieme, presuppone lottare insieme, resistere insieme.
Riscrivere la storia della Rete ha portato a riscoprire anche il significato del nostro chiamarci Rete, quando questo termine era del tutto inconsueto per indicare un’associazione e non esisteva ancora la rete di internet. Il significato del termine Rete va cercato nel contesto della seconda guerra mondiale, nella Francia sotto occupazione nazista: “reseau”, che significa appunto rete, era la struttura di Resistenza nonviolenta e anche la struttura di appoggio alla Resistenza armata antinazista. Gauthier aveva collaborato con le reti di Resistenza. Questo è veramente straordinario, perché ci rivela quanto profetico sia stato anche il nome di Rete, in quanto – come viene evidenziato in questo libro – l’essenza della storia della Rete Radié Resch consiste nell’avere dato sostegno alla resistenza di comunità del Sud e nell’aver contribuito a forme di resistenza “qui” nel Nord contro un’economia di dominio sulle persone e di distruzione della natura, contro una cultura che isola e fa intrattenimento, contro un sistema informativo che si propone la distrazione e l’alienazione di massa. I termini “resistere” e “resistenza” sono tra i più ricorrenti in questo libro della Rete Radié Resch. Anche questo è frutto della prospettiva con cui interpretiamo oggi la storia della Rete: nei primi decenni della Rete la resistenza era soprattutto quella del popolo palestinese contro l’occupazione israeliana e dei popoli latinoamericani contro le dittature militari; invece nell’ultimo ventennio la resistenza riguarda anche noi, è diventata il nostro modo di essere cittadini consapevoli, responsabili, di fronte all’ingiustizia di un’economia che non è più tanto interessata a produrre sfruttamento, bensì è interessata soprattutto a produrre esclusione e annientamento.
Nella ricostruzione dell’ultimo ventennio mi ha interessato in particolare focalizzare l’originale processo vissuto dalla Rete nel passare da una conduzione carismatica che ruotava attorno alla coppia fondatrice di Ettore-Clotilde – pur essendo già attivo il Coordinamento – a una conduzione denominata fin dall’inizio del “carisma diffuso”. L’innesco di questo processo era stato voluto da Masina, anche per la insostenibilità del continuare a coordinare una quarantina di reti locali: una decisione, quella di Masina, coraggiosa e lungimirante, ispirata da Clotilde. Per una decina d’anni accanto al Coordinamento ha avuto un suo peso significativo la presenza della Segreteria e soprattutto di un “portavoce”, figura che doveva salvaguardare dallo smarrimento per l’assenza del leader carismatico. Ma il modo in cui i due “portavoce” succeduti a Masina dal 1994 al 2002 (Giorgio Gallo e Toni Peratoner) hanno voluto interpretare il loro ruolo è stato quello di dare sempre più peso al ruolo di autogoverno del Coordinamento, al punto da lasciare la sola Segreteria a supporto del Coordinamento.
Un altro processo mi è sembrato significativo evidenziare nella storia della Rete: la difficoltà a gestire il conflitto. In associazioni a motivazione ideale con al loro interno un elevato tasso di autostima, l’insorgere del conflitto coglie sempre un po’ impreparati, costituisce un momento di disorientamento, di disagio. Sarebbe stata una miope autocensura scegliere di non affrontare la questione. Per il primo trentennio ho rievocato il conflitto tra Ettore e Paul per la scelta di Paul e Marie-Thérèse di presa di distanza dalla Chiesa istituzionale, i conflitti tra alcune reti e Ettore per le scelte di campo man mano attuate, il conflitto tra Ettore e le reti lombarde del 1988. Nell’ultimo ventennio il conflitto insorto a seguito dell’analisi dello “stato della Rete” svolta nel 1999 da Giorgio Montagnoli e da me: non riconoscere il conflitto induce a gestirlo in maniera non adeguata, non riuscire a farne occasione di crescita. Ciò che è importante è però che in quella occasione non sia stato compromesso il reciproco rapporto di amicizia, sentito come fondante l’azione di solidarietà. Con saggezza i “portavoce”, prima Gallo poi Peratoner, ripresero la questione: Giorgio segnalando che era necessario “confrontarci con il conflitto come una componente essenziale ed inevitabile nella dinamica dei rapporti umani e quindi anche nella vita di una organizzazione complessa e ricca come la nostra”; Toni invitando a guardare i momenti difficili, conflittuali, “come una misura della nostra fragilità, di cui non bisogna vergognarsi né serbare rancore”.
Nel ricostruire il percorso storico della Rete un’importanza particolare ho riservato ai Convegni, che hanno ritmato con la loro regolarità il nostro cammino e lo hanno alimentato con una ricchezza di contributi straordinaria: sul tema della solidarietà e del senso dell’essere Rete, ad esempio, gli interventi di Linda Bimbi costituiscono tuttora un apporto prezioso con cui è importante confrontarsi.
Lo spunto per la chiusura della mia ricerca storica mi è stato offerto dalla discussione sorta nella mailing list della Rete all’indomani del Coordinamento di Quarrata del giugno 2013: un dibattito sul tema di “quale memoria” della Rete coltivare e sulla necessità di riscoprire sempre l’intuizione profetica che ha dato origine alla Rete: ossia la scelta radicale di lottare contro le cause dell’ingiustizia, mentre si mette in campo qualche rimedio alle sue conseguenze. Gli interventi di quel dibattito mi sono sembrati la conferma che “nella Rete non si è persa la voglia di confrontarsi, di rimettersi in discussione, di pensare al cambiamento per avvicinare il “sogno” di chi 50 anni fa ha intuito che combattere le cause dell’ingiustizia è il livello della sfida a cui la storia ci chiama”. Questo libro sulla storia della Rete ci restituisce l’immagine di una Rete che non cessa di porsi in ricerca, che pratica il dubbio e l’autocritica, che è disponibile al cambiamento. Quindi una Rete attrezzata per un cammino ancora lungo: per orientarsi nel quale il confronto con la propria storia si rivelerà vitale e fecondo.