Mi resta sempre difficile parlare o scrivere su grandi problematiche, in pochi minuti o in poche righe. Per questo ciò che dirò, sarà semplicemente una condivisione ad alta voce di alcune riflessioni che
ho fatto in questi ultimi tempi attorno a questa problematica sintetizzata in questo slogan: dichiariamo illegale la povertà.
Alcune inquietudini
Prima e durante la manifestazione che ha inaugurato questo non facile cammino di impegno, mi sono domandata come mai su sei persone invitate a parlare sul tema e a confermare che è possibile cambiare, c’è solo una donna, cioè io. Non lo dico retoricamente, sono convinta infatti che ciò che abbiamo intrapreso è anche una questione di cambio di mentalità. Dichiarare illegale la povertà, infatti, parte da una logica a rovescio: una politica al rovescio, un’economia al rovescio, per darci la possibilità di rovesciare totalmente questa situazione. Allora, in questo senso, mi domando come mai non ci sono altre donne, perché? Le donne, nella storia sono state sempre capaci di iniziative di sovversione: il capovolgimento di teorie e pratiche di vita. Non possiamo dunque, non interpellare più donne, quando sappiamo che noi donne, siamo capaci di strategie collettive che hanno portato la società a ripensarsi, anche se, purtroppo, non totalmente. E quando parliamo di povertà questo è ancora più vero, essendo precisamente le donne, quelle che conoscono di più i drammi dell’esclusione.
Comunque, chiusa questa parentesi e sperando che questa mia domanda serva agli organizzatori di questi eventi, per i prossimi anni, vorrei descrivere alcune idee che ho pensato in questi giorni.
Una visione altra
La prima riguarda appunto la mentalità. Penso, infatti, che se tutti coloro che, nel mondo, vogliono intraprendere questo cammino e, soprattutto nei mondi dove da un po’ di anni i popoli si sono messi in piedi dimostrando che la povertà è illegale -per esempio in Bolivia-, se noi dunque, dichiariamo illegale la povertà, dobbiamo dichiarare illegale quella mentalità che per secoli, ha creato esclusione, violenza e dunque povertà.
Questo dramma economico, a cui assistiamo attoniti, nasce anche da una mentalità, da una cosmovisione che noi abbiamo coltivato. Perciò prima di tutto, da parte nostra dobbiamo compiere una vera e propria autocritica. Noi dichiariamo illegale la povertà perché è stato illegale il modo come noi abbiamo pensato la storia. Noi, tutti. Penso alla chiesa, al suo stile di missione e di evangelizzazione; la maggior parte delle volte è stato un “modo illegale” di trattare con i popoli, pensandoli sotto una certa luce: “minori di età” e materia prima per mantenere certi poteri. Ma penso anche alle organizzazioni non governative, anche quando ci crediamo alternativi, ma in realtà non lo siamo perché anche noi coltiviamo questa mentalità in qualche modo paternalista e colonialista. I popoli hanno una loro storia, i popoli hanno una loro dignità insieme alle loro segrete strategie e questo è vero per comunità umane ma anche per ogni individuo. Nonostante l’esclusione che questo sistema politico ed economico ha creato, milioni e milioni di persone trovano delle strategie di vita; esercitano pratiche di sopravvivenza non solo economiche ma anche psicologiche, etiche.
Allora dichiarare illegale la povertà è dichiarare illegale anche la nostra mentalità che provoca esclusione, gerarchia e in qualche modo rende più lento ogni tipo di metamorfosi socio-politica ed economica.
Cambiare logica è importante, mentre portiamo avanti questa campagna che io spero duri meno di 5 anni -come si propone nel programma- perché in 5 anni possono succedere molte cose e, in 5 anni, si perderà molta gente; molti perderanno il loro lavoro, altri non lo troveranno; molti non potranno più studiare, altri non potranno più curarsi. Perderemo molte culture, perderemo ancora molti popoli per le guerre, per le siccità provocate, quindi dobbiamo sbrigarci.
L’inquietudine deve disturbare tutti
È un’inquietudine che ci deve risvegliare e assolutamente non può restare solo l’inquietudine dei mondi “alternativi”. Questa è un’inquietudine che deve arrivare al più presto sui tavoli dei governi, nei dibattici politici, senza chiedere permesso e disturbare perché –come diceva il poeta e scrittore cubano José Marti: i diritti si prendono, non si chiedono; si sradicano, non si mendicano. Così è avvenuto in Bolivia dove l’inquietudine della gente comune si è trasformata in leggi (la nuova costituzione politica dello stato) e in ispirazione politica e costituzionale.
Lo dico per noi che, invece, ci stiamo di nuovo preparando a queste schifosissime elezioni, disgustanti, sporche, dove i programmi vertono solo su i posti che occuperanno vecchi o nuovi personaggi politicanti. Come pretendere davvero che queste persone non ci ingannino e che la dichiarazione dell’illegalità della povertà e di tutte le cause che la generano, diventi proposta di legge e programma?
Il presente
Un altro aspetto lo riscatto ancora guardando il presente della nostra storia e soprattutto quella italiana. Qualche giorno fa, lessi una notizia dove si diceva che la professoressa Fornero, ministra del lavoro, ha dichiarato che il Governo non può più garantire il lavoro. Certamente lo diceva in un contesto preciso di fronte a chi scioperava (cfr. Il Manifesto. 7 settembre). Questo è molto triste e mi domando se ci rendiamo conto di ciò che significa che un governo “non può più garantire il lavoro”. La ministra Fornero è italiana e sa che la nostra Costituzione -che è anche la sua- si apre con una bellissima dichiarazione: l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Dico bellissima dichiarazione perché considero che il lavoro è una fonte di creatività e dunque di dignità di ciascuno di noi: è partecipazione attiva. Quindi se ciò che dice la Costituzione è vero, se noi togliamo il lavoro, -secondo i sillogismi che ci insegnavano quando studiavamo filosofia-, vuol dire che non esiste più questa democrazia e questa Repubblica.
Per cui, chi si impegna a dichiarare illegale la povertà entra davvero in un’autocritica profonda, e deve sapere che non è solo colpa dell’uno o dell’altro, ma che oggi come oggi sono stati smantellati i valori principali della convivenza. È per questo che dobbiamo fare in fretta; dobbiamo svegliarci e continuare a vigilare.
L’altro aspetto che riprendo dalla situazione storica attuale è che l’unico interlocutore dei governi, dei politici e persino della chiesa è il denaro. Il denaro è diventato un soggetto. Si salvano il denaro e le banche che lo accumulano, ma non le persone. Ma come sempre, quando mi trovo in difficoltà, perché non capisco da dove dobbiamo partire, ho l’abitudine di chiedere consiglio alle persone che mi sono più vicine e anche a chi non c’è più e allora vado a cercare nei libri, qualche persona che ha ispirato con il suo pensiero parte dell’umanità. In questo caso e riguardo alla nostra inquietudine ho ritrovato parte di un testo di Marx, preso dalle opere filosofiche giovanili, anche se sono consapevole che nominare Marx in questo nostro contesto attuale, è come nominare un marziano.
Oltre alla bellezza di questo testo, vorrei far notare appunto che non si tratta del Marx che ha già istituzionalizzato il suo pensiero, ma del Marx del sogno, della passione giovanile.
Marx in questo breve testo sta parlando di questo strano soggetto che è il denaro. E tra le tante cose lui dice: il denaro trasforma, cambia la fedeltà in infedeltà, l’amore in odio, l’odio in amore, la virtù in vizio, il vizio in virtù, lo schiavo in padrone, il padrone in schiavo, l’idiozia in intelligenza, l’intelligenza in idiozia. Ecco, penso che queste parole ci dovrebbero aiutare; è un testo sapiente, un testo che metterei insieme a quelli della tradizione cristiana più bella. Ribadisco: se dichiariamo illegale la povertà è perché ci siamo accorti che siamo diventati degli oggetti e che l’unico soggetto di cui si sta parlando nella nostra politica e da tutte le parti, persino nelle nostre cupole religiose, è il denaro. Questo denaro che ha il potere di trasformare tutto, anche i rapporti umani. Questo denaro che trasforma l’intelligenza in idiozia, l’idiozia in intelligenza. Esempio concreto, il governo che avevamo anteriormente: l’idiozia trasformata, camuffata in intelligenza e quello di oggi, osannato per la sua tecnicità che, grazie al denaro, sta trasformando la sua “intelligenza” in idiozia. È anche per questo che, tra le tante cose, ci dicono che loro non possono garantire il lavoro! Garantiranno le banche, garantiranno le auto blu, garantiranno gli stipendi ai calciatori; garantiranno che la Chiesa non paghi niente allo stato, ma il lavoro no, non lo possono garantire.
Se non si garantisce il lavoro il nostro paese cadrà nel caos e questa è un’inquietudine che oggi deve essere di tutti: imprenditori, dipendenti; a livello statale e privato. In questo momento noi siamo tutti uguali e lo dobbiamo davvero gridare con forza e dobbiamo ripercorrere insieme questa marcia, questa marcia comune, che non si può fermare. Se solo firmiamo e poi ci fermiamo, saremo davvero coloro che comunque affidano ancora le loro speranze al denaro, non all’intelligenza, alla sapienza, alla sensibilità, all’esperienza, alla creatività umana, ma al denaro, continuando a fare il gioco dei pochi che gestiscono la storia. Se non lo facciamo rovineremo i rapporti perchè il denaro trasforma, cambia.
Per concludere una domanda, forse un po’ retorica: come? Come possiamo fare? Vengo da un Paese dove c’è stato insegnato qualcosa di importante. In Bolivia, uno dei primi passi per dichiarare l’illegalità della povertà, è stato quello di individuare chi sono coloro che accumulano? Cioè chi saccheggia la vita di tutto il resto del popolo e anche della terra, delle risorse naturali. Una delle malattie più gravi di questo nostro sistema è l’accumulo, per cui dichiarare illegale la povertà è vegliare perché nessuno accumuli più, nemmeno lo Stato. Non solo accumulare denaro, beni, ma anche cultura, poteri. Perché accumulare cultura ha significato fino ad oggi, portare avanti quella mentalità, quella logica di cui parlavo prima; quella che ci fa dire che gli altri sono inferiori, minori.
Accumulare significa anche, escludere altre culture, altri generi, nuove possibilità. Accumulare, dal punto di vista religioso, significa escludere la possibilità di altri credi, altre religioni, altre esperienze umane, sagge, che invece ci potrebbero aiutare. Allora molto semplicemente impariamo da altri Paesi anche a vigilare su questo aspetto: l’accumulo e impariamo anche a vigilare su noi stessi. L’accumulo è uno degli aspetti più gravi del nostro sistema; è l’anticamera in cui si elabora ogni esclusione e si toglie ogni possibilità: non lascia spazio, non lascia risorse, non lascia niente.
Il momento storico che viviamo è un tempo molto, molto ascetico nel senso bello di questa parola: è uno sforzo, è una lotta, è un tempo che richiede seri programmi di vita. Se firmiamo per dichiarare illegale la povertà, dovremo andare avanti e incominciare una lotta costante, un’ascesi, una fatica uno sforzo per essere fedeli a quello che davvero dichiariamo.
Allora si capisce perché questa è una lotta, uno sforzo. Quindi auguriamoci reciprocamente, buona lotta, buona ascesi, buona veglia.