Leonardo Boff

Il cammino più corto verso il disastro



Tre riflessioni sul collasso del sistema neoliberale.
La prima è che per salvare il Titanic che affonda non bastano correzioni o regolazioni. Si deve cambiare rotta, per evitare l’impatto con l’ iceberg: convertirsi a una produzione che non si regga solo sul guadagno né sul consumo illimitato e escludente.
La seconda, non illudiamoci che le brusche rotture ci porteranno a un altro mondo possibile, ma a un collasso completo di ogni convivenza, con vittime innumerevoli, senza alcuna certezza che dalle rovine nascerà un mondo migliore.
La terza, la categoria della sostenibilità è centrale in qualsiasi tentativo di soluzione, cioè lo sviluppo necessario per la sopravvivenza umana e per la preservazione della vitalità della Terra non può seguire gli obiettivi attuali di crescita (sto pensando al PAC- Piano Accelerazione della Crescita della nostra ministro brasiliano Dilma Rouseff). Questo PAC è troppo predatore di capitale naturale e povero in solidarietà generazionale, presente e futura.
Dobbiamo trovare un sottile equilibrio tra la rigenerazione della Terra con i suoi diversi ecosistemi e il preteso sviluppo necessario per il benessere umano e la continuità del progetto planetario in corso, che rappresenta la nuova e irreversibile fase della storia.

C’è bisogno di una strategia di transizione dal paradigma attuale che non garantisce un futuro sostenibile a un nuovo paradigma, costruito dalla cooperazione interculturale, fondato su un nuovo accordo tra economia e ecologia, nella prospettiva di preservare la vita sulla Terra.

Dove vedo la grande strettoia?

Nella questione ecologica. Essa è citata solo
en passant nelle agende politiche che riguardano le soluzioni della crisi. Nella recente riunione del G-20 a Londra, il tema non ha influenzato la formulazione degli strumenti per mettere ordine nel caos sistemico. Non si tratta solo del più grave di tutti, il riscaldamento globale, ma anche il disgelo, l’acidità del mare, la crescente desertificazione, la deforestazione di grandi regioni tropicali e la nascita del pianeta-favela, a causa dell’urbanizzazione selvaggia e della disoccupazione strutturale.
E ancora di più: i dati ci mostrano la insostenibilità generale della stessa Terra, il cui consumo umano ha oltrepassato del 30% la sua capacità di rigenerazione.

Una natura devastata e un tessuto sociale mondiale lacerato dalla fame e dall’esclusione annullano le possibilità di un nuovo ciclo per un progetto del capitale.
I limiti della Terra sono i limiti di questo sistema che ha imperato per diversi secoli.
Il cammino più corto verso il fallimento di ogni iniziativa per uscire dalla crisi sistemica è questo trascurare il fattore ecologico. Esso non è un fattore esterno inevitabile. O gli diamo una centralità in qualsiasi soluzione possibile o dovremo accettare l’eventuale collasso della specie umana.
La bomba ecologica è la più pericolosa di tutte le bombe letali già costruite e immagazzinate.
Questa volta dovremo essere collettivamente umili e ascoltare quello che proprio la natura, con i suoi gridi, ci sta chiedendo: rinunciare all’aggressione che questo modello di produzione e consumo implica. Non siamo Dei né padroni della Terra ma sue creature e suoi inquilini.
In un libro che uscirà tra breve, Rose Marie Muraro così conclude: “Voler essere Dio, perchè? Quando avremo smesso di essere dei, potremo essere pienamente umani, cosa che non sappiamo ancora cosa sia, ma intuiamo da sempre”.

Traduzione dal portoghese di Antonio Lupo