Arturo Paoli - L’importanza di costruire insieme prossimità
La cosiddetta modernità si apre con un grido: Dio è morto e suona vittoria, libertà, emancipazione. Una Chiesa resisterà ancora per i pavidi, i timidi, coloro che temono la morte. L’uomo ha diritto a vivere comodamente sulla terra, e questo diritto premia solo il più forte, il più audace, il più temerario: il mondo è tuo. Il povero, l’emarginato è un essere spregevole, un ozioso, un debole che si emargina da se stesso. Non bisogna perdere tempo con lui. Lasciamo ai religiosi e alle religiose che disprezzano la terra di accogliere questi derelitti che per noi sono dei relitti, dei poveri resti. L’uomo vero è il super uomo. Il potere è volontà e la volontà raggiunge il potere: la sintesi è volontà di potenza.
Mussolini si allea alla Chiesa di potere, in fondo non disprezza il papa milanese Pio XI, avversario degno di lui. I credenti sono ancora in numero considerevole. Conviene fare un gesto di cortesia verso un santo, attrarlo nel progetto di nazionalità e celebrare il cantore della natura, l’innamorato della terra che si innalza su tutte le altre. Questo poeta forse è il più umile, il più spregevole della vita, che sarà decantato come l’italiano più santo e il più santo degli italiani, l’umile Francesco.
Ma la guerra rompe il sogno di questa ascesa senza intoppi verso l’immortalità. Non era giunto dal passato il sigillo di immortalità che Roma aveva impresso sul tempo storico? Ma la guerra è ingovernabile. La guerra è una di quelle malattie violente che sfocia nell’imprevisto. Mussolini finisce nell’orrendo spettacolo di un cadavere appeso a testa in giù alla tettoia di un distributore di benzina. Hitler si disperde in un incendio colossale di un ministero. Succede un’epoca pacifica dedicata alla ricostruzione, che quando si sente sicura sulle sue gambe cade sotto il dominio di due dittatori acefali, la tecnica e il mercato globalizzato e verso il tramonto una voce ascoltata nel mondo si è alzata a interpretare il tempo cosiddetto della post modernità.
Sul tempo storico non si alza il grido afrodisiaco, Dio è morto, ma una constatazione seria, razionale di un filosofo che mette in allarme l’umanità del nostro tempo: è morto il prossimo ed è importante che questa dichiarazione venga annunziata come una conseguenza della prima: amerai Dio nel tuo prossimo, il prossimo è una parte di Dio. Il processo necrotico è stato lento ma inarrestabile e il dopo?
L’essere umano dipendente dal denaro e dalla macchina è incapace di accogliere l’amore: non abbiamo più nessuno da amare.(1)
La conclusione del filosofo Zoja è allarmante: la globalizzazione è ben lontana dall’essere un evento economico. Ogni giorno ci sta sotto gli occhi una tragedia del mondo… la fame, il ritorno di malattie devastanti, i danni climatici. le stragi dimenticate. Ciò che merita la nostra compassione e richiederebbe il nostro amore sempre più evidente ma anche sempre più lontano, sempre più astratto, manca di profondità come gli schermi che ce lo comunicano.(2) A questo punto appare come un ricordo lontano: con la parabola del buon samaritano, Cristo propose un salto rivoluzionario... amare lo straniero. È istintivo pensare che questo scandalo sia stato un fattore non secondario dell’isolamento, abbandono e morte del Cristo stesso... oggi si chiede un balzo morale simile; se possibile ancora più assoluto. Ecco la sfida.
La Chiesa si aggira sempre intorno alle informazioni su Gesù, ma non esce mai dall’area della verità. Quando qualcuno leva la voce sull’attualità di Gesù sempre una voce si erge: attenti a non negare che Gesù è vero Dio e vero uomo. Si può negare che Gesù lasciando nel tempo e nella storia gli uomini e le donne che lo hanno accompagnato nel breve spazio della sua vita di nomade li lasci su un saluto: amici, addio. Non più servi ma amici? E l’amico è colui a cui possiamo ricorrere nel bisogno sicuri che lo troveremo pronto ad aiutarci. Ci potrà essere un tempo storico più disperato del nostro?
Non abbiamo più nessuno da amare. Per parlare in termini della filosofia scolastica: è partita la nostra sostanza, restano gli accidenti; cioè è morto l’uomo, resta solo la sua maschera.
Conoscete un pericolo di contagio peggiore di questo?
Non c’è né influenza suina o altre pesti che sono apparse in diverse epoche facendo strage di persone che abbia colpito l’anima come l’attuale. Questa peste è definita con un vocabolo nostalgico, poetico, lontananza. Viene al cuore la famosa melodia che abbiamo cantato tante volte: la lontananza è come un vento: l’ora che volge al desìo i naviganti e sotto questo linguaggio poetico si nasconde un danno mortale e apparentemente irreparabile. Tutto quello che nella Chiesa cattolica entra nella denominazione pastorale dovrebbe unirsi e ispirare una crociata, pacifica per scongiurare questo contagio. E forse scopriremmo la terapia. Questa lontananza sbocca in una morte annunziata: non c’è nessuno da amare.
Voglio tradurre dallo spagnolo una parte dell’opera Jesus certamente non gradita da quelli che difendono il dogma “Gesù seconda persona della Trinità”, e non si lasciano affascinare dall’inno Jesus dulcis memoria. Non è assolutamente mia intenzione squalificare il dogma trinitario, soprattutto per il ricordo affascinante che mi ha lasciato la carmelitana Elisabetta che rompe il muro dogmatico e scopre una relazione di dolcezza indimenticabile dalla quale è possibile lasciarci coinvolgere. “Nulla mi farebbe gioire di più quanto ricevere la buona notizia che questa mia opera arriva per cammini a me sconosciuti e insospettabili fino agli ultimi.
Questi furono e sono anche oggi i suoi preferiti, gli ammalati senza speranza, le moltitudini che soffrono la fame, quelli che vivono senza amore, le coppie senza amicizia, donne maltrattate dai conviventi, i condannati a vita nelle carceri, quelli che si portano dietro il senso di colpa, le prostitute schiave di interessi torbidi, i bambini non amati dai genitori, i dimenticati o emarginati dalla Chiesa, quelli che muoiono soli e sono sepolti senza una croce e senza orazione, quelli che sono amati solo da Dio.
So che Gesù non ha bisogno di me né di altri per farsi strada nel cuore e nella storia delle persone... noi cominciamo a incontrarci con Gesù quando la nostra fiducia in Dio uguaglia la sua, quando crediamo nell’amore com’egli credeva, quando ci avviciniamo a chi soffre come lui si avvicinava, quando difendiamo la vita come egli la difendeva, quando vediamo gli altri con il suo sguardo, quando affrontiamo la vita e la morte con il suo coraggio, quando contagiamo la buona notizia come egli la contagiava”.(3)
L’amicizia che sento per Colui che ho scelto da giovane come l’unico, non avendo mai divorziato da questa scelta anche se mi sono sentito peccatore, anche se ho spesso dormito come gli amici scelti da lui, mi permette di tentare qualche consiglio: dovremmo servirci degli strumenti della tecnica esclusivamente come strumenti di lavoro, dovremmo mettere in allarme i genitori che i bambini oggi sono martirizzati, che in questa società c’è un attacco furibondo all’infanzia. Mettere un bambino davanti a un videogiochi tutta la giornata è un delitto (Pietro Barcellona).(4) Dovremmo sederci il meno possibile davanti allo schermo televisivo e selettivamente, coscienti che la televisione è astutamente usata per farci accettare passivamente le peggiori trasgressioni della giustizia, senza sentire la minima pena di far transitare il popolo italiano in un tempo che è il più decadente della sua storia secolare, almeno pensando al tempo in cui il nostro popolo è diventato un’unica nazione. Dovremmo curare degli incontri di giovani dei due sessi con la finalità di contribuire alla redenzione dell’umanità creando in loro il fascino della cospirazione, l’orgoglio di mettere la loro vita al servizio di una liberazione dell’amore esiliato e dimenticato. La nostra storia risorgimentale ci dovrebbe ricordare il risveglio della gioventù per una causa ben meno significante di quella cui attualmente attinge tutta l’umanità.
Dovremmo essere capaci di sconfiggere il sesso consumista che è la peggiore droga e una delle cause fondamentali dell’effetto lontananza, causa di morte dell’amore. Bisogna impegnare i monasteri che non invitino a pregare per pregare, ma con l’intenzione unica e vera di salvare il prossimo dalla sua morte. Riflettere sul tema della dolcissima amicizia che potrebbe essere lo strumento strategico e più efficace per sconfiggere l’epidemia mortale entrata nel corpo dell’umanità. Dovremmo chiedere ai teologi e filosofi di non trastullarci con la loro ragione per interpretare con parole nuove il mistero nascosto… Dovremmo mettere il loro lavoro al servizio della causa comune. Dovremmo avere il coraggio di ritornare a certi slogan del passato: Dio lo vuole. Nessuno tradisca, onoriamo la Croce con la resurrezione dell’amore - prossimità.
1 - La morte del prossimo. Luigi Zoja, Einaudi
2 - Idem, pag. 126-127
3 - Dalla Prefazione del libro Jesus, José Antonio Pago/a, PPC (disponibile anche in lingua italiana)
4 - La crisi della democrazia, Pietro Barcellona, Altrapagina