Frei Betto - Il mio nome è miseria
Il mio nome è miseria. Oggi accompagno la vita di 1 miliardo e 50 milioni di persone, soprattutto bambini: denutriti, vulnerabili. Muoiono presto. Avevo sperato che nella riunione di aprile a Londra il G20 si fosse ricordato di me nella preparazione della messa solenne G8-G20 che si terrà in Italia. Invece a Londra, dove erano riunite le economie potenti del mondo, mi hanno appena sfiorata senza drammatizzare e con altri pensieri.
L’indifferenza di chi governa l’umanità sta minacciando gran parte della popolazione africana lasciando strada aperta al contagio dell’Aids: 25 milioni di disperati. E’ ancora la fame che vi parla. In Brasile sono la regina che incontra nella valle di Jequitimboa, Mato Grosso e poi tra Alagoas e Pernambuco, affiliati che riconosco al primo sguardo: disfatti, occhi che tremano. Incontro le stesse facce all’interno degli stati di Maranhão e Para, indigeni e villaggi Quilombola. In modo aberrante continuo a regnare nelle favelas che stringono le grandi città.
Secondo l’Onu basterebbero 500 miliardi di dollari (dollari spesi nei primi due anni guerra Afhganistan e Iraq, NdR) per estirpare la fame cronica che sfinisce più di un miliardo di persone. I governi del G20 devono essere presbiti, guardano lontano e non vedono ciò che succede attorno. Anziché discutere su come liberare l’umanità dalla mia presenza, decidono destinare di 1 miliardo e 100 milioni di dollari ” per salvare il Mercato”, Mercato che ha per burattinai Fondo Monetario, grandi imprese, grandi banche, insomma i responsabili della crisi che negli ultimi mesi ha regalato altri 150 milioni di disperati alla mia contabilità dei senza speranza.
Il capitalismo neo liberista si è sparato sui piedi. Adesso si aggrappa alle casse pubbliche per soccorrere i “poveri” milionari abituati a trasformare questo tipo di aiuti in bonus (premi) astronomici destinati a presidenti, direttori e manager di imprese che rischiano di finire in cenere. Che delusione il G20 di Londra. Anticipa le delusioni del G8 italiano? Non crea, soprattutto, veri problemi ai governi e alle imprese e alle persone che nascondono i tesori nei paradisi fiscali. Chissà perché il G20 ha incaricato le volpi di far la guardia ai pollai. Alcuni paesi europei restano paradisi tanto amati dalla finanza torbida: Svizzera, Lussemburgo, Belgio, Austria. C’è anche la City di Londra, sterlina solitaria che non si mescola all’euro.
Chi garantisce che questi santuari della ricchezza illecita (che prima di tutto sfugge alle tasse dei paesi di origine); chi garantisce che questi paesi civili cancelleranno il segreto bancario al quale hanno timidamente fatto cenno nei gironi del G20? E perché incoraggiare con 1 miliardo e 100 milioni di dollari il Fondo Monetario di triste memoria? Tutti sappiamo che si tratta di una istituzione nelle mani della Casa Bianca, miliardi con i quali negli anni si è costruita la politica estera degli Stati Uniti. Sappiamo che il Fondo mette naso in ogni piega dell’economia dei paesi alle corde che chiedono e ottengono finanziamenti. Ne diventa il governo ombra. Impone leggi e regole economiche favorevoli a una privatizzazione in passato selvaggia, privatizzazioni che hanno allargato e allargano la disuguaglianza sociale e il potere oligarchico di grandi imprese e grandi banche. Riassumo: i contribuenti, ossia il popolo, pagano imposte sempre più pesanti. Vengono sollecitati a sacrificare vita, risparmi e a sospendere ogni ambizione per far superare la crisi finanziaria ai potenti del mondo. I quali in questi mesi temono che senza crediti e dilazioni nei pagamenti, i paesi emergenti smettano di fare spesa nelle nazioni ricche. Se smettono, le nazioni ricche vengono travolta dalla disoccupazione, mentre i senza niente potrebbero adeguarsi all’esempio dell’Ecuador: ha imposto la moratoria ai debiti accumulati con le potenze industriali. Riprenderanno a pagare quando la crisi passerà. Prima di far avere al Fondo Monetario 100 miliardi di dollari, anche il Brasile che è il mio paese, avrebbe dovuto controllare cosa succede nella realtà quotidiana delle sue campagne e delle sue città. Se l’avesse fatto, la presenza della miseria sarebbe stata progressivamente sradicata. Perché miseria non vuole solo dire stomaco vuoto; combattere la povertà significa più scuole pubbliche per tutti, più ospedali, meno violenza e di conseguenza più ragazzi preparati e disoccupazione che si assottiglia. Se le cose non cambiano, io, signora miseria, continuerò a regnare su un miliardo di facce dagli occhi vuoti.