Che c'è di speciale nel cambio dell'anno?
01/01/09 16:26 Categoria Notizie
Che c'è di speciale nel cambio dell'anno? Perchè la festa di fine anno provoca tanta pazzia? Niente, eccetto la convenzione numerica che ci permette di codificare il tempo in ore, minuti, secondi.
Rimane nel nostro subcosciente il sollievo di aver terminato un anno di varie difficoltà, perdite, sofferenze, e celebrare le conquiste, successi, gioie. Bisogna tirare razzi, mortaretti, riempire bicchieri, esprimere nuovi propositi.
Viviamo nel mistero. L'imprevedibilità di prevedere il futuro ci suscita angoscia. C'è chi si rifugia per decifrarlo nella lettura degli astri e delle carte, attraverso la saggezza dei sapienti, o le preghiere dei nostri santi protettori. Tutto ciò è paralizzante, l'impotenza davanti agli scandali e la sfacciataggine con cui i corrotti sono assolti dai loro pari. Questa impunità che lascia alle spalle ciò che abbiamo commemorato quest'anno: i 60 anni della Carta dei Diritti Umani e il quarantennale del '68.
Per me il '68 è stato il paradigma della ribellione, il grido amplificato delle manifestazioni studentesche, gli USA sconfitti dai vietnamiti, i Beatles che reinventano la canzone, la moda che sovverte i parametri, le donne alla conquista di appassionarsi per la prima volta e molte altre volte, la messa in discussione del maschilismo.
Qui, nella parte sud del mondo, scrivo dal Brasile, da uno dei paese degli anni di piombo, dei generali che misero nelle fondine delle loro pistole le chiavi dei Parlamenti, legando l'utopia al palo della tortura, le strade dell'esilio che si moltiplicarono, i morti e i desaparecidos sepolti negli archivi segreti delle forze armate. Ma pur così, c' era un sogno, e non era il prodotto dell'assunzione di sostenze chimiche, urlava per la fame di libertà e giustizia, fomentava il desiderio irrefrenabile di attivare la creatività incensurabile, dal cinema al teatro, dalle canzoni alla poesia, dalla letteratura al diritto di esprimersi ecc...
In questo passato, il futuro era migliore. Oggi, immersi in questa società dell'iperestetizzazione della banalità, in cui le immagini contrappongono il tempo e la web virtualizza il dialogo nella solitudina digitale, andiamo in cerca di una ragione per vivere. Perdiamo il senso storico, cambiamo i vincoli della solidarietà con la connessione elettronica, vendiamo la libertà per un piatto di lenticchie sotto forma di sicurezza.
Quest'anno sareno chiamati alle elezioni europee e in molte amministrazioni locali, tra cui la nostra provincia.
Dovremo scegliere tra gli idealisti e gli arrivisti, i servitori della cosa pubblica e quelli che si affogno nell'ego distillato dell'ubriacatura degli applausi, tra quelli mossi da intransigenza dei principi etici e quelli che mirano alle risorse dello Stato come carne fresca per la loro gola insaziabile.
E' stato l'anno dove abbiamo commemorato il 60° anniversari della Dichiarazione dei Diritti Umani, che per nostra vergogna di cattolici, non è ancora stata firmata dallo Stato Vaticano.
In questo mondo di atrocità, non c'è modo migliore di celebrarla che esigendo la sua applicazione ed il suo perfezionamento: che finisca l'occupazione dell'Iraq, la riduzione dell'emissione dei gas inquinanti, la fine del disboscamento dell'Amazonia e la salvezza dell'Africa, un continente, per nostra colpa, alla deriva.
Qui in Brasile è ora che la Dichiarazione sia trasferita dalla carta alla realtà sociale. Dove, nonostante la valida attività del ministero dei Diritti Umani, è impossibile celebrare conquiste mentre la polizia stigmatizza come trafficante chi vive nella favelas; il Potere Giudiziario promuove un'orgia compulsiva mettendo donne in celle piene di uomini; gli indios e i negri sono condannati alla miseria per incuria delle autorità; dove la debolezza della legge copre d'immunità i corroti e d'impunità i banditi e gli assassini.
E' chiaro, non basta il proposito sincero di fare qualcosa di nuovo nella nostra vita nel 2009. Serve di più: fare nuove le realtà che ci circondano, in modo che ci siano cambiamenti concreti e la pace fiorisca come frutto della giustizia. Questo è il mio augurio.
Antonio Vermigli
Rimane nel nostro subcosciente il sollievo di aver terminato un anno di varie difficoltà, perdite, sofferenze, e celebrare le conquiste, successi, gioie. Bisogna tirare razzi, mortaretti, riempire bicchieri, esprimere nuovi propositi.
Viviamo nel mistero. L'imprevedibilità di prevedere il futuro ci suscita angoscia. C'è chi si rifugia per decifrarlo nella lettura degli astri e delle carte, attraverso la saggezza dei sapienti, o le preghiere dei nostri santi protettori. Tutto ciò è paralizzante, l'impotenza davanti agli scandali e la sfacciataggine con cui i corrotti sono assolti dai loro pari. Questa impunità che lascia alle spalle ciò che abbiamo commemorato quest'anno: i 60 anni della Carta dei Diritti Umani e il quarantennale del '68.
Per me il '68 è stato il paradigma della ribellione, il grido amplificato delle manifestazioni studentesche, gli USA sconfitti dai vietnamiti, i Beatles che reinventano la canzone, la moda che sovverte i parametri, le donne alla conquista di appassionarsi per la prima volta e molte altre volte, la messa in discussione del maschilismo.
Qui, nella parte sud del mondo, scrivo dal Brasile, da uno dei paese degli anni di piombo, dei generali che misero nelle fondine delle loro pistole le chiavi dei Parlamenti, legando l'utopia al palo della tortura, le strade dell'esilio che si moltiplicarono, i morti e i desaparecidos sepolti negli archivi segreti delle forze armate. Ma pur così, c' era un sogno, e non era il prodotto dell'assunzione di sostenze chimiche, urlava per la fame di libertà e giustizia, fomentava il desiderio irrefrenabile di attivare la creatività incensurabile, dal cinema al teatro, dalle canzoni alla poesia, dalla letteratura al diritto di esprimersi ecc...
In questo passato, il futuro era migliore. Oggi, immersi in questa società dell'iperestetizzazione della banalità, in cui le immagini contrappongono il tempo e la web virtualizza il dialogo nella solitudina digitale, andiamo in cerca di una ragione per vivere. Perdiamo il senso storico, cambiamo i vincoli della solidarietà con la connessione elettronica, vendiamo la libertà per un piatto di lenticchie sotto forma di sicurezza.
Quest'anno sareno chiamati alle elezioni europee e in molte amministrazioni locali, tra cui la nostra provincia.
Dovremo scegliere tra gli idealisti e gli arrivisti, i servitori della cosa pubblica e quelli che si affogno nell'ego distillato dell'ubriacatura degli applausi, tra quelli mossi da intransigenza dei principi etici e quelli che mirano alle risorse dello Stato come carne fresca per la loro gola insaziabile.
E' stato l'anno dove abbiamo commemorato il 60° anniversari della Dichiarazione dei Diritti Umani, che per nostra vergogna di cattolici, non è ancora stata firmata dallo Stato Vaticano.
In questo mondo di atrocità, non c'è modo migliore di celebrarla che esigendo la sua applicazione ed il suo perfezionamento: che finisca l'occupazione dell'Iraq, la riduzione dell'emissione dei gas inquinanti, la fine del disboscamento dell'Amazonia e la salvezza dell'Africa, un continente, per nostra colpa, alla deriva.
Qui in Brasile è ora che la Dichiarazione sia trasferita dalla carta alla realtà sociale. Dove, nonostante la valida attività del ministero dei Diritti Umani, è impossibile celebrare conquiste mentre la polizia stigmatizza come trafficante chi vive nella favelas; il Potere Giudiziario promuove un'orgia compulsiva mettendo donne in celle piene di uomini; gli indios e i negri sono condannati alla miseria per incuria delle autorità; dove la debolezza della legge copre d'immunità i corroti e d'impunità i banditi e gli assassini.
E' chiaro, non basta il proposito sincero di fare qualcosa di nuovo nella nostra vita nel 2009. Serve di più: fare nuove le realtà che ci circondano, in modo che ci siano cambiamenti concreti e la pace fiorisca come frutto della giustizia. Questo è il mio augurio.
Antonio Vermigli